Care colleghe, cari colleghi, amiche, amici
do a tutti voi il benvenuto a questo XXXIX congresso nazionale Snami. Abbiamo cercato fino all’ultimo momento di svolgere un congresso “normale” ma purtroppo il peggioramento della situazione relativa all’epidemia SARS-COv-2 ci ha costretto a fare la scelta più semplice, ma più dolorosa: di svolgere il congresso completamente online.
Ancora nell’ultima settimana ho tenuto in vita il tentativo di svolgere almeno le tavole rotonde di presenza in modo tale da dare una situazione quanto più vicina a quella normalità da noi anelata, ma anche in questo caso l’evolvere della situazione ha fatto sì che anche queste debbano andare online. Partecipare ad un congresso completamente online è un impegno importante sia per i discenti, che per i delegati, che per i relatori che devono impegnarsi con i moderatori a rendere viva e partecipe la presenza di tutti al Congresso, ma sono sicuro che con l’impegno di tutti riusciremo nel nostro intento.
Arriviamo da un anno tremendo e stiamo per affrontare un autunno inverno che sicuramente sarà molto impegnativo per tutti noi, per le nostre famiglie e per i nostri pazienti.
È una guerra.
La nostra guerra.
Abbiamo avuto i nostri caduti, li voglio chiamare così perché sono caduti durante lo svolgimento della loro professione.
Non li posso ricordare tutti, ne dimenticherei sicuramente qualcuno, ne voglio ricordare uno per tutti. Il primo caduto era un nostro iscritto, era un amico che tutti conoscevamo molto bene: Roberto Stella.
Solo un mese prima lo avevo incontrato in aeroporto a Roma e avevamo bevuto qualcosa insieme e chiacchierato amabilmente. Ecco lo voglio ricordare così con quel saluto con cui ci siamo lasciati in un posto per noi abituale come l’aeroporto dove ci si trova sempre avanti indietro dalle nostre residenze a Roma.
Non lasciamo che Roberto e tutti gli altri amici che ci hanno lasciato siano morti invano!
Facciamo in modo che il loro sacrificio sia di monito per il futuro.
Rendiamo onore a chi è caduto e facciamo in modo che altri non cadano nei mesi a venire.
Questa è la nostra guerra e sovente siamo stati lasciati soli a combatterla.
In un comunicato stampa della primavera passata abbiamo definito la nostra situazione come quella degli alpini che erano stati mandati a combattere in Russia ed abbandonati con le scarpe di cartone.
Noi siamo stati abbandonati senza mascherina, senza tute, senza calzari, senza visiere.
Ringraziamo tutti coloro che, prime fra tutte le aziende farmaceutiche, ma non solo, hanno donato, tramite il sindacato, agli iscritti visiere, gel, guanti e mascherine.
Ma vi pare normale che debba essere il sindacato tramite strutture esterne al sistema sanitario a rifornire per quanto possibile i medici sul campo?
Io penso di no.
Io penso e come me sono certo che la pensiate tutti che il sistema sanitario per cui lavoriamo, per cui abbiamo sofferto e per cui abbiamo lasciato più di 180 caduti sul campo avrebbe dovuto e dovrebbe fare in modo che chi è in trincea come noi abbia gli strumenti minimi per non ammalarsi mentre lavora.
Siamo stati lasciati soli.
Basterebbe un decreto per far sì che l’INAIL riconoscesse l’infortunio anche i medici famiglia pur non essendo dei dipendenti.
Neppure questo è stato fatto.
Noi non siamo carne da macello e non siamo nemmeno un numero così cospicuo da poter far sì che lo stato si permetta di perderci senza pensare che se salta la prima linea l’ospedale reggerà al massimo uno o due giorni.
La medicina generale, con tutte le sue componenti, a cui si è aggiunta la nuova figura dell’USCA, è la trincea dove si combatte la battaglia più dura, speriamo non più a mani nude, per far si che chi si ammala non arrivi in ospedale e se vi arriva trovi là quello di cui necessita.
Ogni giorno apprendiamo, spesso dai giornali, che governo e regioni tramite decreti e circolari modificano quello che avevano detto il giorno precedente. Passiamo più tempo a seguire i cambi di rotta imposti che a visitare i Pazienti.
Ogni giorno ci viene detto che siamo centrali nel sistema, che siamo gli unici che possono arginare l’assalto al pronto soccorso, che siamo gli unici che possono fare qualunque cosa.
Infatti, oltre al lavoro che già facevamo hanno provato ad appiopparci di tutto e di più.
Lo SNAMI e ne rivendichiamo fortemente la paternità ha messo un punto fermo sui sierologici agli insegnanti fatti dal medico di famiglia. Non perché non volessimo fare i sierologici ma perché già prevedevamo che questa sarebbe diventata la porta aperta per altre incombenze fatte cadere sulla medicina generale per l’incapacità del sistema. Passati i sierologici siamo giunti ai tamponi rapidi, sulla cui utilità non nutriamo alcun dubbio, semmai molti dubbi li nutriamo sulla possibilità che vengano eseguiti all’interno dei nostri studi.
Solo chi non conosce la realtà del nostro lavoro può proporre questo tipo di attività all’interno dei nostri studi.
Se lo Stato ha necessità di medici in aggiunta a quelli già deputati a questo tipo di attività non ha che da chiederlo.
Se alcuni di noi hanno il tempo, la volontà e la disponibilità di poterli fare lo facciano pure, ma sia ben chiaro che deve essere un compito aggiuntivo, remunerato ed eseguito in sicurezza e sicurezza vuole dire che gli studi devono essere adeguati a quella mansione. In tal caso il volontario lo potrà fare altrimenti lo andrà a fare all’interno delle strutture che le Asl metteranno a disposizione.
A breve si aprirà la contrattazione nazionale per un accordo stralcio dove andremo a discutere oltre la possibilità di fare i tamponi anche di come attrezzare gli studi medici di diagnostica di primo livello. Anche qui si è voluto per i motivi più disparati mettere il carro davanti ai buoi.
Prima di parlare di diagnostica di primo livello dovremmo parlare di strutture fisiche dei nostri studi.
Dovremmo parlare di personale di segreteria. Dovremmo parlare di personale infermieristico dedicato.
Ma come al solito si è ascoltato qualcuno e non tutti e si è partiti dal fondo: vi diamo l’attrezzatura e voi fate la diagnosi!
Se non si rivedono le percentuali regionali per il personale di studio ed infermieristico, se non si investono fondi importanti che permettono ai medici di potersi strutturare in modo più complesso, come si può parlare di diagnostica di primo livello.
Cosa succederà se un gruppo di medici che per vari motivi siano riusciti a strutturarsi in modo maggiore farà la diagnostica e gli altri no? Vi sarà una regione più ricca che avrà medici che faranno cose in più di una regione più povera? Sarà l’ennesima frattura fra le zone metropolitane e quelle rurali?
Nulla di tutto ciò si potrà svolgere senza la telemedicina ma la telemedicina è un processo che per quanto accelerato dall’emergenza Covid ha necessità di tempo, di infrastrutture, di personale, di formazione non solo dell’operatore ma anche dell’utente.
A tutti noi sarà capitato di offrire una visita telematica ai nostri pazienti durante l’emergenza e a tutti noi sarà arrivata la stessa risposta del paziente che non ha il pc, che non ha il collegamento internet, che non ha uno smartphone adeguato e che non ha le competenze tecniche per poterlo fare.
Vogliamo dare una spinta alla telemedicina?
Bene. Partiamo dall’inizio.
Partiamo col portare la fibra dove possibile, partiamo col dare più banda larga a tutti potenziando il wi-fi nei comuni, coprendo con il segnale radio le zone non raggiunte, già di per sè svantaggiate dalla distanza dai nosocomi.
Ma tutto ciò non può partire dal medico, deve partire dallo Stato.
E’ notizia di ieri che la FNOMCEO ha presentato, in audizione in commissione Igiene e Sanità, un nuovo modello di medico di medicina generale. Ma da quando la federazione ha avuto mandato per rappresentare la categoria?
Forse sarebbe meglio che la federazione si occupasse di quanto le compete e lasciasse a chi è deputato la discussione sul futuro della medicina generale. Ed in tutto questo poteva non mancare l’AIFA con le sue simpatiche note? Adesso l’AIFA pretende anche di dare la patente di medico prescrittore.
Non lo accettiamo. Già le note legate a problemi di innovazione e costo sono una violenza inaudita nei confronti dei medici di medicina generale, le note poi che vanno a sindacare sulla capacità diagnostica di una categoria vanno rigettate con sdegno al mittente.
Caro Ministro ti scrivo, verrebbe da dire parafrasando una canzone. Ascolta una volta anche lo SNAMI che ti dà dei consigli gratuiti e che provengono da sindacalisti che non passano la loro vita a Roma seduti sulle poltrone ma lavorano all’interno dei loro studi, che ti danno delle indicazioni precise su quelle che sono le situazioni in periferia e non ti fanno girare davanti i soliti dieci carri armati dicendoti che sono centinaia.
Il morbo veniva dall’Oriente e dunque tutte le strade del commercio si trasformarono in vie di contagio. La Repubblica approntò subito una serie di provvedimenti per arginare l’epidemia: furono nominati delegati per controllare la pulizia delle case, vietare la vendita di alimenti pericolosi, chiudere i luoghi pubblici, perfino le chiese. Potevamo circolare liberamente solo noi medici. Gli infermieri e i becchini dovevano portare segni distintivi visibili anche da lontano; noi indossavamo una lunga veste chiusa, guanti, stivaloni e ci coprivamo il volto con una maschera dal naso lungo e adunco e occhialoni che ci conferivano un aspetto spaventevole. Uomini e donne malati venivano portati nell’isola del Lazzaretto Vecchio; le persone che erano state a contatto con gli appestati erano invece trasferite in quella del Lazzaretto Nuovo per più di venti giorni a scopo cautelativo. Su una nave era stata issata una forca per giustiziare i trasgressori delle ordinanze igieniche e alimentari. “Alvise Zen”
Era 1600 spiegatemi dov’è la differenza con il 2020.
Ci viene chiesto di trattare a domicilio i pazienti affetti da SARS-CoV-2, ma al momento quali sono i protocolli per trattare i pazienti a domicilio sintomatici?
Non sto a spiegarlo voi che come me tutti i giorni lavorate gli studi, nelle RSA, nelle carceri, sulle navi, nelle postazioni di continuità assistenziale e delle USCA.
Siamo diventati la società dei virologi. Dai meteorologi siamo passati ai virologi.
Non passa giorno in cui in tv non compaiono una decina di colleghi, ognuno a portare la sua verità, ognuno a spaventare o a minimizzare.
La popolazione ne esce disinformata e confusa.
E non manca ogni giorno il professorone di turno che dalla sua poltrona dorata accusa chi sta fuori sul territorio di non aver lavorato bene per evitare che i pazienti accedano alle cure ospedaliere.
Ecco a tutti costoro diciamo di non dimenticare la legge delle undici P che il mio professore di chimica al liceo decantava prima di appioppare un brutto voto allo sfortunato di turno: “per parlare prima pensa perché parola poco pensata potrebbe portarti pensiero”.
Ognuno di noi dà il meglio di sé, utilizza al meglio quello che sa e che ha a disposizione, ma per i miracoli cari virologi e professori universitari non siamo ancora attrezzati sul territorio.
La nostra posizione di questi mesi la conoscete bene.
Non abbiamo gioito come altri hanno fatto quando con i soldi nostri, di arretrati infatti si trattava, soldi già guadagnati con il lavoro fatto, hanno comperato la nostra reperibilità. Posto che ancora ci dovrebbero spiegare come fa un convenzionato ad essere reperibile essendo l’istituto della reperibilità tipico della dipendenza.
Ci troviamo in questo momento nel pieno della campagna antinfluenzale con le Regioni che hanno programmato in ordine sparso questa importante iniziativa.
Noi già quest’estate chiedevamo che l’acquisto dei vaccini avvenisse a livello centrale per permettere a tutte le regioni di partire in contemporanea con lo stesso numero di vaccinazioni, con le stesse regole e con la distribuzione dei DPI necessari ai medici vaccinatori.
Purtroppo anche qui lettera morta.
Abbiamo chiesto che ci si muovesse per tempo per reperire palestre, teatri e qualunque altro spazio idoneo per permettere ai medici di poter vaccinare senza creare aggregazione e anche qui nella maggior parte dei casi non è stato fatto nulla lasciando anche questo onere sulle spalle della medicina generale.
Non si dia la colpa dell’eventuale fallimento della vaccinazione alla medicina generale!
Abbiamo poi assistito alla follia del farmacista che vuole vaccinare. Provocatoriamente abbiamo detto che se il farmacista avesse vaccinato noi ci saremmo messi a vendere i farmaci.
Basta con la medicina generale cannibalizzata da tutte le figure che si affacciano al territorio. Ognuno faccia nel miglior modo possibile il suo di lavoro senza guardare a quello degli altri.
Abbiamo assistito a uno stravolgimento anche della formazione in medicina generale in parte legato a questioni normative e legislative ed in parte legato all’epidemia. Forse è ora che la formazione in medicina generale abbia uno spirito diverso ed un ambito diverso.
Noi pensiamo che sia ora che la medicina generale diventi universitaria.
Che venga riconosciuto il titolo di specialista in medicina generale e che vengano creati i dipartimenti di medicina generale all’interno delle università
con docenti in medicina generale che provengano dal territorio.
Basta con la formazione di serie A e B. Basta con l’imbuto formativo!
Pretendiamo la pubblicazione delle graduatorie in tempi brevi. Non possiamo permetterci di tenere fermi tanti Medici indispensabili per la nostra sanità, soprattutto in questo periodo particolarmente duro ed emergenziale.
Con la speranza di incontrarci tutti al 40° congresso SNAMI auguro a tutti noi di poter operare al meglio e di superare questa difficile prova a testa alta, sicuro che uniti riusciremo a vincere questa guerra.
Un abbraccio
È importante che i futuri medici sappiano “guardare con occhiali diversi: quelli finora indossati non sono certo i migliori né i meno deformanti”
(Un altro giro di giostra, Tiziano Terzani).
Se volete vedere il filmato dell’intervento cliccate: HTTPS://WWW.CONTATTO.TV/SNAMI2020/RELAZIONE-PRESIDENTE.MP4