La Regione alle guardie mediche: «Ora restituite 14,7 milioni di euro». Nel Bresciano arrivate lettere a 250 professionisti per circa due milioni.
Il disappunto dei medici.
Articolo di Chiara Daffini
La forma è molto vicina al burocratese, ma il significato dell’oggetto non lascia margini di interpretazione: recupero somme indebite ex articolo 2033 del Codice Civile. Centinaia di medici bresciani si sono visti recapitare via PEC la richiesta, da parte dell’ATS in cui hanno prestato servizio di continuità assistenziale (le guardie mediche), di restituire cifre che vanno da poche centinaia a diverse migliaia di euro. Come loro anche gli altri colleghi lombardi.
I motivi. La spiegazione è tutto fuor che lineare e riguarda le cure ai pazienti «fuori ambito». In base a un accordo nazionale, quando un cittadino si trova al di fuori della propria zona di residenza e si rivolge alla guardia medica è chiamato a pagare 15 euro per una visita in ambulatorio e 25 per una a domicilio come onorario extra per il medico. Con la fattura il paziente può poi chiedere il rimborso alla propria azienda sanitaria. Le cose cambiano in Lombardia nel 2007, quando Regione e sindacati dei medici stabiliscono di evitare il pagamento cash per i non residenti; grazie a un accordo integrativo si eliminano così i compensi extra di 15-25 euro, mentre sale di un euro all’ora (da 22 a 23 euro) la tariffa versata ai medici di continuità assistenziale. Ma nel 2018 tale aumento forfettario finisce sotto la lente della Guardia di Finanza di Varese, che svolge indagini e trasmette i risultati alla Procura della Corte dei conti. Emerge così che il contratto collettivo del 2005 prevede per i medici una «indennità onnicomprensiva» e che quindi è ingiustificato l’aumento di un euro deciso a livello lombardo. Il danno economico calcolato dalla Corte dei Conti per la regione più operosa d’Italia è di minimo 14.7 milioni. L’accordo viene dunque sospeso nel maggio 2019; nel processo che dovrebbe tenersi ad aprile, 11 dirigenti regionali saranno chiamati a rispondere del fatto.
I numeri. Nel frattempo il Pirellone ha dato mandato alle otto ATS lombarde di chiedere ai medici il rimborso per i soldi «in più» ricevuti tra il 2007 e il 2019. Ecco quindi arrivare, a partire dallo scorso autunno, le lettere di costituzione in mora dei camici bianchi, «con effetti interruttivi della prescrizione». Difficile stabilire la reale entità del bug, ma i conti, almeno approssimativi, sono però presto fatti. Prendiamo l’ATS di Brescia: viste le ore da coprire, 12 dal lunedì al venerdì e 24 il sabato, la domenica e i festivi, parliamo di oltre 5.600 euro l’anno, che moltiplicati per 12 (dal 2007 al 2019) fanno quasi 67.400 euro. A questo punto, moltiplicando tale cifra per le 29 postazioni dell’ATS, arriviamo a un buco di quasi 2 milioni. Stima che non tiene in conto il caso, tutt’altro che raro, di postazioni con più di un professionista a lavorare contemporaneamente sullo stesso turno. Più difficile il conteggio esatto dei medici coinvolti, dal momento che il servizio di continuità assistenziale ha un turn over molto vivace, ma se si considera che in ognuna delle postazioni girano almeno 5 medici ogni anno, arriviamo a oltre 150 camici bianchi in soli dodici mesi.
Testimonianze. Per ora le lettere sono state inviate a 250 professionisti e i rimborsi richiesti, come si è detto, vanno da 2-300 euro a 20mila euro. In alcuni casi, inoltre, le lettere sono più di una, poiché non è raro che uno stesso professionista abbia prestato servizio in località afferenti a diverse ATS. Come Alessandro Gaffurini, 41 enne, che dal 2007 al 2008, neolaureato, aveva fatto la guardia medica a Verolanuova per ATS Brescia, e dal 2008 al 2016 a Piamborno (ATS della Montagna): la prima gli chiede 360 euro entro 60 giorni; la seconda ben 11.600 euro. «Soldi – commenta incredulo – che credevamo di aver guadagnato lavorando, e con cui abbiamo fatto investimenti, magari un mutuo». Per Michele Facchi, altro professionista bresciano, «l’ingiustizia risiede nel fatto che per un errore di Regione Lombardia dobbiamo pagare noi medici, che abbiamo solo firmato un contratto».
Sindacati. «Spesso – spiega Paola Pedrini, segretaria del sindacato lombardo Fimmg – chi presta servizio di continuità assistenziale sono medici di base che non hanno un numero di mutuati che consenta loro di lavorare abbastanza, oppure giovani che si stanno avvicinando alla professione e che cominciano a guadagnare in attesa di aprire magari un ambulatorio o di entrare in specializzazione. Molti quindi acce-tano di lavorare di notte, esponendosi anche a pericoli e dovendo andare a proprie spese lontani da casa». Da subito le associazioni sindacali si sono mobilitate in difesa dei medici: oltre a Fimmg, che ha invitato i propri iscritti a non pagare «in quanto il processo è ancora in corso e le lettere sono state per ora inviate a titolo cautelativo», anche SNAMI sta mandando, per conto dei professionisti interessati, lettere di diffida alle ATS: «Ci arrivano almeno 5 richieste al giorno – dice il presidente di SNAMI Brescia Piergiorgio Muffolini -, e tramite il nostro legale, l’avvocato Gennaro Messuti, prepariamo per ognuno la diffida. Di fatto, ai medici di guardia spetta in tutta Italia un plus per i pazienti fuori ambito, che in genere pagano per le prestazioni ricevute fuori dal loro luogo di residenza. Ciò non è però avvenuto in Lombardia, appunto in seguito all’accordo integrativo del 2007, che noi siamo stati l’unica sigla sindacale a non sottoscrivere. Non si può certo dire che i professionisti della nostra regione abbiano percepito cachet più elevati rispetto a quanto era loro dovuto, anzi. Solo che ora sarà impossibile arrivare a un’adeguata redistribuzione, perché fino a qualche anno fa le visite non erano registrate sui computer». «L’intento – dichiara il consigliere regionale lombardo Ruggero Invenizzi – era snellire le procedure burocratiche e consentire a tutti i cittadini di avere libero accesso al servizio di continuità, senza penalizzare i medici».
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